Il Regno

Emmanuel Carrere, pose a son domicile parisien. Avec

Di certo Emmanuel Carrère non poteva scegliere momento più difficile per scrivere di religione. Mentre in certe parti del mondo ci si uccide in nome di una fede o dell’altra, in Occidente la morale religiosa cede ogni giorno sempre più terreno all’etica secolare e il prestigio delle istituzioni religiose è ai minimi storici. Ma a rendere difficile intavolare un discorso serio e articolato sulla religione sono soprattutto le posizioni opposte e inamovibili su cui da qualche decennio si sono arroccati credenti e non credenti. I primi difendono con le unghie e con i denti i loro dogmi e le loro tradizioni che sentono minacciate dall’avanzata del laicismo, i secondi, ben rappresentati da luminari come Richard Dawkins considerano la religione come una pericolosa superstizione da cui l’umanità deve liberarsi al più presto. Sono due posizioni agli antipodi che nella mia esperienza personale sono accomunate molto spesso dall’ignoranza. Credenti che sovente sanno poco o nulla di quello in cui dicono di credere e atei che non si prendono nemmeno la briga di conoscere ciò che criticano. Tra questi due punti di vista si situa il lavoro di Emmanuel Carrère, Il Regno. Come me, Carrère condivide l’interesse per le religioni, un interesse agnostico e laico. Si tratta di estrapolare dalle religioni e dai loro testi sacri valori e idee condivisibili dall’uomo moderno senza però necessariamente abbracciare la fede. Come leggere e apprezzare la Dhammapada non mi rende per forza un buddhista, così studiare i vangeli non fa di me automaticamente un cristiano.

Come sempre nei lavori di Carrère l’elemento autobiografico è la molla che fa ingranare la narrazione. All’età di trent’anni l’autore si trova in mezzo ad una crisi esistenziale e creativa nerissima. L’unico appiglio a cui può agganciarsi è l’anziana madrina che lo introduce alla Fede. Seguono tre anni in cui per usare le parole dello stesso Carrère “sono stato cristiano”. Tutti i giorni a messa, tutti i giorni commenti scritti dei versetti del vangelo con cui riempirà ben diciotto quaderni in un anno. Sono proprio questi quaderni, ritrovati anni dopo, che spingono il Carrère di oggi che si è lasciato alle spalle fede e depressione, a raccontare la storia delle origini del cristianesimo.
Con grande acume Carrère evita di aggredire frontalmente la questione indagando la figura di Gesù. Invece si concentra sulle figure di San Paolo e dell’evangelista Luca e sulle loro peripezie in giro per l’impero romano del primo secolo dopo Cristo. Luca è la figura che Carrère sente più vicina poiché sono entrambi scrittori, e dedica la maggior parte dello spazio a lui.  La narrazione di Carrère è allo stesso tempo erudita e divulgativa e dipinge un mondo,quello dell’epoca di Paolo e Luca, per molti versi simile al nostro. Un mondo in cui l’insegnamento di un oscuro profeta della galilea suonava ai suoi abitanti strano e folle.
Avendo fatto la scuola dalle suore, più svariati anni di catechismo, posso ammettere senza vergogna di conoscere abbastanza bene parte della materia che tratta Carrère. Devo ammettere però che ho trovato la sua esegesi delle parabole interessante e illuminante, un impresa non facile visto quanto il materiale è inflazionato.
Altro merito di Carrère è essere riuscito a sottrarsi alla trappola del facile revisionismo, evitando così di mettere in bocca ai suoi personaggi un pensiero che appartiene più all’autore che al loro . Tutt’altro, Carrère si tiene sempre a debita distanza dai personaggi del suo racconto con distacco e una buona dose di scetticismo, attingendo non solo alle sacre scritture ma anche al lavoro di esegeti e filologi, come a fonti storiche contemporanee ai fatti narrati.

Il Regno è una lettura stimolante tanto per chi conosce già la materia quanto per chi è a digiuno sulla storia delle religioni. E un libro che pone molte domande e non da risposte, del resto Carrère conclude il libro con un lapidario e agnostico “non lo so”.

Maurice G. Dantec, Profeta Cyberpunk

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Apocalittica. Questo è il termine che meglio descrive la produzione letteraria di Maurice G. Dantec.Una parola che ne da una descrizione precisa per diversi motivi. Il primo, quello più superficiale e immediato, è dovuto la fatto che il mondo in cui si muovono i suoi personaggi è un universo in dissoluzione dove infuriano conflitti e le città bruciano, un universo sempre sull’orlo di una catastrofe finale e catartica. Ma il termine apocalittico si abbina ancor meglio alla sua opera se si risale fino al significato etimologico della parola, ovvero quello di “rivelazione”. I romanzi di Dantec sono in qualche modo rivelatori. Squarciano le illusioni del presente, ci svelano il caso che germina sotto una realtà apparentemente ordinata e controllabile. I romanzi di Dantec sono apocalittici anche per un ulteriore ragione: sono libri profetici , che ci permettono di dare uno sguardo ad un futuro sempre più prossimo, dove la tecnologia in sinergia con l’evoluzione umana apre scenari ora utopistici ora terrificanti. Questa dote fa di Dantec una delle voci più brillanti della narrativa di genere degli ultimi due decenni. Una voce, purtroppo, ancora poco ascoltata.

Maurice Dantec nasce nel 1959 a Grenoble. La sua è una famiglia di comunisti duri e puri, il padre dirige l’agenzia stampa del PCF. Dantec inizia ad interessarsi alla narrativa negli anni delle scuole superiori a seguito dell’incontro con Jean-Bernard Puoy, futuro autore noir. Più tardi negli anni Settanta, dopo aver mollato l’università, mette su con alcuni amici il gruppo musicale État d’urgence, una delle prime band punk francesi. Una passione, quella della musica, che porta tutt’ora avanti in parallelo alla sua attività di romanziere. Nel 1994 lo troviamo inviato in Bosnia come reporter di guerra, un esperienza che lascerà un segno profondo nella sua opera. I ricordi e le riflessioni scaturite da questo periodo confluiranno nei tre volumi di diari e saggi Le théâtre des opérations: journal métaphysique et polémique, pubblicati tra il 2000 e il 2006. Avvertendo la vita culturale francese sempre più stretta si trasferisce in Québec nel 1998. Personaggio controverso e polemico, negli anni successivi Dantec ha tenuto fede alla sua fama di cattivo ragazzo della letteratura francese. Dapprima l’improvvisa conversione al cattolicesimo nei primi anni Duemila che ha spiegato al suo pubblico con queste parole “Io sono andato sino in fondo al nichilismo. Ma a differenza di Houellebecq, ho attraversato lo specchio, e mi sono convertito al cristianesimo. Cosa impossibile per un nichilista”. Poi nel corso degli anni sono seguite durissime prese di posizione su varie tematiche come l’Islam. L’indole ribelle, battagliera e anticonformista non ha fatto certo bene alla sua fama, specie presso l’intellighentia francese che lo ha da tempo ostracizzato. Burrascoso anche il suo rapporto con il cinema: due gli adattamenti cinematografici dei suoi romanzi ovvero Red Siren (2002) e Babylon A.D. (2008), quest’ultimo diretto da Mathieu Kassovitz che clamorosamente disconobbe il film a riprese terminate. Lo stesso Dantec pare non fosse molto soddisfatto del risultato finale.

Come tutti gli scrittori anche Dantec ha una storia divertente da raccontare su come ha intrapreso questa professione. La rivelazione risale al periodo in cui Dantec lavorava come pubblicitario alle dipendenze di un famoso magnate del marketing. Con sua grande sorpresa il giovane Dantec scoprì che il suo boss, a dispetto dello sfavillante tenore di vita era un uomo divorato dal rimorso, un rimorso che lo portava a scolarsi un litro di whisky al giorno: il rimorso di non essere mai riuscito a scrivere un romanzo.
Così Dantec si mise a scrivere e nel giro di qualche mese sfornò un corposo romanzo fantascientifico che inviò al suo vecchio amico Jean-Bernard Puoy il quale a sua volta lo inoltrò a Patrick Raynal, responsabile della prestigiosa Serie Noire della Gallimard. Raynal giudicò il manoscritto poco consono al genere della collana ma chiese lo stesso a Dantec di scrivere un romanzo ex novo.

Il romanzo risultante è La Sirena Rossa, pubblicato nel 1993. La storia ruota attorno all’incontro tra due anime perse, Alice Kristensen, geniale dodicenne in fuga dalla madre dopo aver scoperto che essa è implicata in un traffico di snuff movies, e Hugo Toorop, l’antieroe per eccellenza della narrativa di Dantec, reduce dalla guerra in Bosnia e membro di una rete clandestina di freedom fighters. I due fuggono attraversando mezza Europa alla ricerca del padre di Alice, continuamente tallonati dai sicari al soldo della diabolica madre. La Sirena Rossa è un thriller ancora molto convenzionale ma in cui traspare il perfetto controllo dei meccanismi narrativi. In nuce vi sono già tematiche che Dantec svilupperà appieno nei romanzi successivi tra i quali il generale pessimismo sul destino della civiltà occidentale.
Del resto Dantec mette in bocca al suo Toorop quella che in retrospettiva può essere letta come una vera e propria dichiarazione poetica “Della necessità di una letteratura diretta. Qui e subito. Adesso. Semplice attraversamento della grande civilizzazione conurbana, mentre la fine del mondo, o qualcosa che vi assomiglia, si avvicina a passo inesorabile. Il pensiero è un virus. Continuerà ad espandersi, oppure si addormenterà momentaneamente, aspettando che si voglia un giorno, svegliarlo davvero. I libri sono delle autentiche bombe a scoppio ritardato”. Un concetto, quello dei libri come virus, come armi, che il vulcanico Dantec riproporrà in maniera quasi ossessiva negli anni successivi.

Ma è solo con il romanzo successivo, Le Radici del Male, che Dantec raggiunge la maturità stilistica e poetica. La storia prende avvio nel 1994 con la polizia francese sulle tracce di Andreas Schaltzmann, serial killer che sta attraversando il paese in preda ad una terribile frenesia omicida. Ad aiutare gli investigatori viene chiamato Arthur Darquandier, esperto di intelligenze artificiali che ha così l’opportunità di testare sul campo la sua ultima invenzione, la neuromatrice, una macchina che imita i processi cognitivi umani, in grado di apprendere ed evolversi autonomamente. La cattura del serial killer non è che l’inizio della discesa all’inferno di Darquandier. Alcuni degli omicidi attribuiti a Schaltzmann non sembrano coincidere con il modus operandi dell’uomo. Indagando a ritroso Darquandier scopre che qualcuno da anni uccide impunito, forse un vero e proprio gruppo di assassini che agisce secondo regole note solo a loro.
Le Radici del Male abbandona presto i territori del noir per addentrarsi in quelli del cyberpunk fino a diventare una riflessione metafisica sulla malvagità. Facendoci scrutare nell’abisso fino in fondo, Dantec non ci consola con facili spiegazioni psico-sociologiche. I suoi assassini sono figli della società dello svago, uccidono per il gusto di farlo e la loro follia è una riproduzione frattale di quella che si appresta ad investire il mondo nel XXI secolo. Romanzo fluviale che bombarda il lettore di input senza mai cadere nello sfoggio di erudizione fine a sé stesso, il romanzo di Dantec trascende i confini della narrativa di genere per diventare una acuta riflessione sui nostri tempi.

Il 1999 è l’anno di Babylon Babies (ripubblicato con il titolo Babylon A.D. sull’onda dell’adattamento cinematografico). In questo romanzo convergono personaggi, idee e tematiche dei due precedenti e lo si può considerare la fine di un ciclo per Dantec. La storia si svolge in un futuro prossimo in cui il mondo sembra condannato ad una lenta e inesorabile deriva il cui punto d’arrivo è l’abisso. Una violente guerra civile sta insanguinando la Cina e minaccia di espandersi fino alla Russia. Le biotecnologie sono state proibite a livello globale e adesso le mafie ne monopolizzano il mercato. Sette religiose inseguono deliranti piani d’immortalità e si combattono tra loro usando come soldati gang di bikers armate come milizie paramilitari. Torna Hugo Toorop che, scampato al carnaio cinese, viene incaricato da un mafioso siberiano e dal suo socio, un colonnello del GRU, di scortare un carico dalla Siberia al Québec. Il carico in questione è Marie Zorn, una ragazza dal passato misterioso che porta con sé qualcosa che fa gola a molti. Toorop non è l’unico personaggio dei romanzi precedenti a tornare. Ricompare anche il dottor Arthur Darquandier, adesso a capo di un misterioso progetto che come un filo rosso collega il destino delle sue neuromatrici a quello di Marie. Come ne Le Radici del Male Dantec predilige la complessità tempestando il romanzo di una tal quantità di stimoli e rimandi che a tratti si fa fatica ad assimilare nella loro totalità. Questioni concernenti la bioetica e la genetica vanno di pari passo con gli studi sullo sciamanesimo e il DNA di Jeremy Narby, Gilles Deleuze, le intelligenze artificiali e la schizofrenia. Una delle idee più potenti del romanzo e senza dubbia quella della convergenza tra evoluzione biologica, rappresentata per Dantec dalla schizofrenia, e evoluzione tecnologica. Finora questi due percorsi sono andati a due velocità diverse ma se dovessero incontrarsi si assisterebbe ad un nuovo tipo di evoluzione per l’essere umano, né interamente biologico né interamente artificiale, ma una totalità maggiore della somma delle sue parti. Al contrario del suo predecessore, ricco di azione e colpi di scena, Dantec predilige qui uno stile lento, meditativo, lascia diramare la trama tra le vicende di una miriade di personaggi di contorno, senza indulgere troppo nell’azione o nella suspense. Babylon Baibes è principalmente un romanzo di idee e sono queste a farla da padrone. Dopo l’abisso senza fondo, la notte più nera de Le Radici del Male, Babylon Babies è il primo romanzo di Dantec a presentare un elemento salvifico nella figura di Marie perché al contempo rappresenta l’unico personaggio davvero puro del romanzo e perché ciò che porta dentro di lei potrebbe significare un riscatto per l’umanità tutta. Pur essendo precedente alla conversione di Dantec il romanzo è pervaso da un forte senso di misticismo e di attesa millenaristica. Ma si tratta di un misticismo eterodosso che mescola elementi arcaici, come il mito della Vergine, a suggestioni contemporanee (l’ingegneria genetica) con una predilezione per personaggi imperfetti e fallibili come il protagonista Toorop. Il romanzo ha avuto un seguito nel 2012, Satellite Sisters ancora inedito in Italia.

La narrativa di Dantec ha il raro dono di nutrire il cervello e non solo perché è dannatamente intelligente. Ogni suo romanzo contiene spunti che rimandano a nuove letture e nuovi argomenti da approfondire, ed ogni opera si presta a più di una rilettura. Come molti scrittori suoi connazionali possiede una acume raro che lo porta da avere uno sguardo clinico sul mondo e su questo periodo storico. Lasciarlo sullo scaffale sarebbe un peccato.

Fonti

“Solo il caso è reale”. Un incontro con Maurice Dantec
Un cristiano cyberpunk fin troppo scorretto

Ancient interview with Maurice G. Dantec